Spendiamo la maggior parte della nostra vita senza accorgerci di ciò che accade a un metro dal nostro naso. Non è solo colpa dell’iPhone: la nostra mente organizza la poca attenzione di cui disponiamo distribuendola in base a bisogni e desideri che proviamo. Siccome questi sono però per la maggior parte indotti dalla società a cui apparteniamo e dall’ecosistema in cui siamo cresciuti, il più delle volte ci sentiamo insoddisfatti e siamo mossi all’azione per risolvere questo problema.
Fra lo stimolo e la risposta c’è uno spazio. In quello spazio c’è la nostra facoltà di scegliere la risposta. Nelle nostre risposte risiede la nostra capacità di crescere e la nostra libertà. VIKTOR FRANKL
Per vivere intenzionalmente abbiamo bisogno di de-prioritizzare i nostri bisogni e desideri. Questo ci consente di rimuovere la sensazione di insoddisfazione cronica che ci mantiene in quello stato di affaccendati condannato da Socrate. La soluzione – o almeno una possibile soluzione, e una che con me ha funzionato – è la mindfulness. In poche parole, concentrazione sul qui e ora.
Solo se siamo pienamente presenti in ciò che facciamo possiamo davvero dire di farlo. Altrimenti, no.
Scrivendo del principio di non attaccamento ho sottolineato la necessità che abbiamo di prendere le distanze dalle cose che non sono in nostro controllo. Quello che possiamo controllare, e su cui ci dobbiamo concentrare, sono la nostra percezione degli stimoli esterni e le nostre reazioni a essi. La chiave è nello spazio che c’è fra stimolo e risposta.
Insoddisfazione
Buddha chiama dukkha quello stato di insoddisfazione nei confronti della vita tipico di noi esseri umani. Dal punto di vista spirituale, la nostra missione è sconfiggere l’insoddisfazione. Questo, in soldoni, significa raggiungere la pace interiore, che altro non è dunque che una sensazione di non essere più insoddisfatti dalla vita, e che si raggiunge quando siamo riusciti a distaccarcene, senza abbandonarla, ma vivendola per quello che essa è realmente, e non per come ipotizziamo che possa essere o da altri abbiamo appresso che debba essere. Esattamente, un casino, per cui non ho voluto rendere meno ardua la lettura del precedente periodo.
La mindfulness non è “lasciar andare”, distaccarsi dai nostri pensieri. Essere mindful significa analizzarsi in profondità, mettendo da parte i sentimenti negativi, come la paura, la rabbia o l’odio, e osservare le cose per quello che sono. In concreto, significa concentrarsi per individuare le azioni che risolvono ciò che genera l’insoddisfazione.
Mindfulness è la traduzione di “sati” che in lingua pali, il linguaggio utilizzato dal Buddha per i suoi insegnamenti, significa essenzialmente consapevolezza, attenzione, attenzione sollecita. Queste qualità dell’essere possono venire coltivate attraverso la meditazione. (Wikipedia)
Come si raggiunge la mindfulness
La mindfulness ci porta – o meglio, ci avvicina, un passo alla volta – a quello stato di coscienza oggettiva di cui scrivevo poco fa attraverso la pratica della meditazione. Meditazione che, in sostanza, ci aiuta a vivere concentrati su quello che stiamo vivendo, come ho scritto nell’articolo in cui ti ho raccontato come meditare mi ha aiutato a ritrovare mia figlia.
La pratica della meditazione
Quando iniziamo a meditare, la prima cosa di cui ci preoccupiamo è se stiamo praticando bene o male. Ci mancherebbe altro: veniamo da una società che etichetta le persone per i risultati che ottengono, anziché per quello che fanno, che poi è espressione di ciò che sono (volenti o nolenti).
In Mente Zen Shunryu Suzuki-roshi sottolinea questo aspetto riferendosi allo zazen, la meditazione seduta del Buddismo Zen. Suzuki ribadisce più volte che non esiste una buona pratica o una cattiva pratica. Puoi praticare, ed è bene. Puoi non praticare, ed è altrettanto bene.
Nella pratica della meditazione dunque non c’è fallimento. C’è solo fare o non fare. Il nostro cervello è normale che sia attirato più dalla seconda opzione, perché è la più facile, ma è qui che è richiesta la nostra intenzione di vivere. La nostra continua ricerca di avere a che fare con quello che succede fuori da noi è determinata dal fatto che muoriamo dalla paura di affrontare noi stessi.
Quando meditiamo diciamo al nostro cervello che non può fare niente ieri o domani. Neppure oggi. Solo qui e ora. È qui e ora che può agire per cambiare le cose che può cambiare.
I vantaggi della meditazione
Se praticata costantemente, la meditazione ci consente di raggiungere la pace interiore perché ci aiuta a vedere le cose come stanno e accettarle per quello che sono, concentrando le nostre energie in ciò che possiamo cambiare.
Essere mindful ci aiuta ad avvicinarci a quello che siamo nati per essere e seguire la nostra vocazione.
C’è poi uno svariato numero di altri benefici della meditazione che la scienza ha rilevato, ma non è qui il caso di trattarne.
Energia
Non preoccuparti, agisci. Se non puoi farci nulla, non preoccupartene. PATRICK RHONE
In Mindfulness for mere mortals Patrick Rhone racconta che lui si ripete ogni giorno questa frase come un mantra, una meditazione attiva che gli ricorda qual è l’atteggiamento corretto da tenere davanti agli accidenti della vita.
La preoccupazione richiede energia ed è in sostanza uno spreco di energie. Se non ci puoi fare nulla, non ha senso sprecare energie. Non otterrai comunque alcun risultato. Se invece puoi farci qualcosa, esserne cosciente ti spingerà all’azione.
La preoccupazione è ciò che sposta la nostra attenzione dall’azione al desiderio e ci affossa in quello. Essa si combatte in due maniere:
- agendo su quello che ci preoccupa;
- ridirigendo la nostra energia altrove.
Lo spazio fra stimolo e risposta a cui si riferisce Frankl è lo stesso in cui pratichiamo la meditazione. Non solo la pratica ci rende consci delle nostre emozioni e dei nostri pensieri circa gli accidenti della vita, ma sopratutto ci aiuta a concentraci su quello spazio in cui abbiamo la facoltà di cambiare le risposte, ed espanderlo per usarlo nella vita quotidiana, come ha sottolineato Brian Clark in un articolo sull’agilità emozionale.
Considerazioni finali
Riassumendo: meditare ci porta alla mindfulness, e questa ci permette di espandere lo spazio in cui cercare le risposte agli accidenti della vita, imparando ad agire su quello che possiamo controllare e accettando quello per cui non possiamo farci nulla. Cancellando così quello stato di insoddisfazione cronica in cui siamo incastrati.
Bastano cinque minuti al giorno di meditazione per cominciare a cambiare le cose. Non ti aspettare però che succeda dall’oggi al domani. Meditare è difficile e facile al tempo stesso, e ancora non ti so spiegare perché.
È sufficiente trovare una posizione comoda, chiudere gli occhi e concentrarti sul respiro. Quando lo fai però comincia la parte difficile. Ma è anche il bello e fa parte del gioco.
Per capire davvero queste cose non è sufficiente leggere un articolo di un blog. Io stesso, non sarei riuscito a scriverlo se non venissi da tre anni di sforzi per riuscire a meditare costantemente. Se vuoi incamminarti lungo questo percorso, ecco i miei consigli per cominciare a meditare.